Alberto Piastrellini

Maternità e Sacro: la Madonna Benois di Leonardo da Vinci

Il capolavoro del genio toscano sarà esposto per la prima volta dopo 35 anni in Italia, a Fabriano, da 1° al 30 giugno, e successivamente, dal 4 luglio al 4 agosto presso la Galleria Nazionale dell’Umbria a Perugia di Alberto Piastrellini Nell’anno in cui si celebrano i 500 anni della scomparsa di Leonardo da Vinci, fra le tante opportunità che curiosi, neofiti e appassionati d’arte avranno per approcciare le opere del genio toscano vale la pena prendere in considerazione l’opportunità di ammirare la Madonna Benois che, questa estate sarà eccezionalmente in Italia dopo un’assenza di ben 35 anni. Il dipinto, un olio su tavolatrasportato su teladelle dimensioni di 48 x 31 cm, arriverà direttamente dalla sua sede presso la galleria dell’Ermitage di San Pietroburgo e sarà esposto dal 1° al 30 giugno presso la Pinacoteca Civica “Bruno Molajoli” di Fabriano (AN) e, successivamente, dal 4 luglio al 4 agosto presso la Galleria Nazionale dell’Umbria a Perugia.  L’opera, datata in un periodo di tempo che va, presumibilmente dal 1478 al 1480/82 è il prodotto di un giovane Leonardo intorno ai 26 anni eppure già maturo per distaccarsi dai topoi figurativi e pittorici degli artisti coevi e procedere spedito verso una visione tutta personale e rivoluzionaria della “nuova maniera” di far pittura con ampia predilezione per lo sfumato, il chiaroscuro e la profonda introspezione psicologica dei personaggi.  La Madonna Benois affronta in maniera del tutto nuova il tema antichissimo della Madonna con Bambino e lo fa attraverso il superamento dell’immagine “regale” e “divina” dei personaggi rappresentati. Il distacco, l’immobilità e l’astrazione che caratterizzano la pittura sacra precedente qui si fa movimento, partecipazione, vicinanza con l’osservatore che può cogliere atteggiamenti naturali ed emozioni sincere.  Nelle sue ridotte dimensioni lo spettatore è messo di fronte ad una costruzione intima, quasi familiare della Maternità: la Vergine è quasi un’adolescente ritratta mentre si diverte letteralmente (la sua bocca

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Beatriz Neila al VR Master Camp 2019: quando la moto è donna!

La diciassettenne spagnola è la prima donna a partecipare al prestigioso corso di perfezionamento per giovani piloti promosso da Yamaha e Valentino Rossi di Alberto Piastrellini Rivoluzione “rosa” per la VR46 Riders Academy di Valentino Rossi: per la prima volta una ragazza, Beatriz Neila,  è stata ammessa a frequentare il prestigioso corso VR46 Master Camp edizione 2019. L’iniziativa, un vero e proprio corso di perfezionamento per giovani piloti talentuosi organizzato da Yamaha in collaborazione con il campione marchigiano delle dure-ruote è giunta quest’anno alla sua settima edizione e per la prima volta, nel carnet dei fortunati partecipanti figura anche una centauressa: la diciassettenne spagnola Beatriz Neila che parteciperà con i colleghi Kevin Sabatucci (20 anni), Jacopo Facco (Semakin Di Depan Biblion Motoxracing; 19 anni), Finn de Bruin (Team Trasimeno Yamaha), diciottenne olandese, Andy Verdoïa (BCD Yamaha MS Racing; francese di 16 anni). Svolto dal 22 al 26 maggio presso il Ranch del Dottore a Tavullia (PU) l’obiettivo dell’iniziativa è quello di migliorare le capacità e la professionalità dei giovani piloti che già vestono i colori Yamaha usufruendo di lezioni, consigli, supervisione ed esperienza di professionisti di chiara fama nel mondo racing, tra cui, ovviamente il pluricampione mondiale Valentino Rossi. Malgrado la giovane età, la madrilena Beatriz Neila ha già un curriculum di tutto rispetto in sella alle due ruote e quest’anno partecipa al Mondiale Supersport 300 per Yamaha (MS Racing team) sulle orme di Ana Carrasco, anche lei spagnola già campionessa della categoria. Nata nel 2002, Neila già a otto anni correva nelle competizioni e a 15 anni figurava alla Red Bull MotoGP Rookies Cup e alla European Talent Cup, malgrado un infortunio accaduto nel corso del precampionato. Lo scorso anno, mostrando una grinta unica, l’allora sedicenne è ripartita alla grande nel CEV RFME Supersport 300, dove è salita più

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L’amore per i libri fa bene alla cultura, alla società e all’ambiente

La fiaba (reale) dell’illuminato libraio di Polla (SA) che con le sue iniziative a forte valenza sociale promuove la lettura soprattutto nelle giovani generazioni e fa del bene anche all’ambiente di Alberto Piastrellini Una bella storia che ha il sapore della favola arriva sulle pagine dei giornali dalla provincia di Salerno: quella di un libraio gentile (di fatto e di nome) che s’è ingegnato per promuovere la circuitazione dei libri associando questa alle pratiche di raccolta consapevole dei rifiuti. In questa storia, la difesa e la promozione della cultura a partire dall’atto della lettura si sposano con la coscienza ambientale e la consapevolezza delle necessità di gestire al meglio le risorse rappresentate dai materiali/rifiuti. Ma non solo, in questa storia c’è anche una grande lezione di umanità e di altruismo suggeriti dalla pratica tutta napoletana del “caffè sospeso”, qui declinata in chiave libraria… Vediamo di raccontarla per bene. Innanzi tutto, il luogo dell’azione, Polla, piccolo comune del salernitano, poco più di 5.000 abitanti.In questo borgo arroccato della Campania, vive Michele Gentile, proprietario della libreria “Ex libris Café”, piccola oasi di resistenza all’avanzata delle grandi librerie monomarca, nonché fucina creativa di questo illuminato amante del suo lavoro e degli “oggetti” che tratta quotidianamente. Ebbene, questa figura atipica di librario (lui stesso si definisce un clochard dei libri), da anni si ingegna per promuovere il gusto della lettura soprattutto nei più piccoli e negli adulti che dovrebbero esser loro di esempio, tanto più che, come ci ricordano le statistiche, in Italia si legge molto poco e che il 10% delle famiglie italiane non ha nemmeno un libro in casa, mentre il 28% ne possiede meno di 25. Per stimolare il gusto per la lettura e garantire al tempo stesso la sopravvivenza della libreria quale presidio di cultura per il territorio, Gentile già

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Red carpet: la sfilata del successo tra finzione e realtà


Piccola riflessione semiseria sul rito mediatico più glam che accende maggiormente la fantasia degli spettatori. di Alberto Piastrellini Ci risiamo! Puntuale come ogni anno, il mese di maggio ci riporta non già il profumo delle rose e della primavera, sentori antichi, i primi, da libro di lettura, soverchiati dal profluvio degli odori di sintesi nei quali sembra che gran parte del genere umano faccia continue abluzioni con buona pace del sottile gioco erotico delle discrete seduzioni olfattive di un tempo; espressione più astronomica, la seconda, avendo ormai perso, a causa del climate change, ogni suggestione metereologica. Nel pieno di una campagna elettorale avvelenata da cattiverie e colpi bassi e nel quadro di un clima sociale non meno freddo e rancoroso di quello atmosferico, per la fortuna dei narratori della contemporaneità e del costume, maggio reca con sé, d’oltralpe, la brezza della Riviera della Côte d’Azur che illuminano suadenti i palinsesti televisivi e dei social media grazie al Festival del Cinema di Cannes. Così, fra i mille problemi della quotidianità – con una punta di invidia – ci si consola ammirando tanta bella gente esibire i doni di una natura benigna e (talvolta) rari talenti effettivi, sempre e comunque in confezione extralusso. Con buona pace del Cinema, il cui linguaggio e la cui celebrazione risultano sempre in secondo piano e, nei servizi dedicati, pare quasi un obbligo di cortesia parlarne rispetto a scollature, sorrisi ceramici, abiti, gioielli, seni, glutei e mascelle scolpite a bisturi e personal trainer. È il rito dei red carpet e dei photocall che alimenta e sostiene il mito immortale della Diva e del Divo; figure carnali ed eteree al tempo stesso, quasi spiriti elisi per un attimo scesi sulla terra degli uomini e delle donne normali ad offrir loro la propria inarrivabile immagine a beneficio di occhi

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Giacomo Leopardi: una vita tra amori negati, vagheggiati e disillusi

Nell’anno in cui si celebra il bicentenario de L’infinito tracciamo un breve ritratto delle donne che hanno incrociato la vita col celebre poeta-filosofo recanatese. di Alberto Piastrellini L’anno 2019 vede il nostro Paese celebrare due figure titaniche dell’arte e del pensiero: Leonardo da Vinci di cui ricorre il cinquecentenario della morte (2 maggio 1519, presso il castello di Clos-Lucé, Amboise, in Francia) e Giacomo Leopardi  (Recanati, 29 giugno 1798 – Napoli, 14 giugno 1837), del quale si celebra il bicentenario della stesura definitiva de L’infinito. Il celebre idillio, che per forma e contenuto supera i topoi della composizione romantica per anticipare tematiche e stili del ‘900, è universalmente riconosciuto fra le vette della poesia italiana e mondiale e, assieme ad altre composizioni somme come: La ginestra, La sera del dì di festa , Il sabato del villaggio e Canto notturno di un pastore errante dell’Asia ha contribuito più di ogni altro scritto del giovane recanatese a costruire, per i posteri, la figura del poeta malinconico e pessimista. Poeta, certo, ma anche e soprattutto filosofo (nonché scrittore, filologo, glottologo), dal momento che la maggior parte della sua produzione letteraria ci è giunta sotto forma di pensieri scritti in prosa, primi fra tutti Lo zibaldone e le Operette morali, senza contare il corposo Epistolario (oltre 900 lettere scritte nell’arco della breve vita) che costituisce un’opera a sé, più che preziosa per comprendere non solo le vicende biografiche e personali dell’uomo-Leopardi, ma anche e soprattutto, l’evoluzione del suo pensiero in parallelo alle vicende storiche prerisorgimentali.  Un pensiero, profondo nella sua chiarezza ancorché disilluso e poco incline alla speranza cui una certa necessità di approccio semplicistico e didattico, soprattutto in fase scolastica ha contribuito a tramandare un’immagine musona, triste al limite della pietà per questo individuo solitario, incompreso, bisognoso di attenzioni eppure ruvido nei

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Idrocoltura: una soluzione ottimale per le piante verdi in casa

Ottimi risultati di crescita per le piante da arredamento, poca spesa e minori attenzioni si sposano al notevole impatto estetico di acqua, verde e vetro. di Alberto Piestrellini Con l’arrivo della Primavera, complici le fioriture naturali sui prati e quelle indotte sui davanzali, è bello “ridare la tinta” al proprio pollice verde, magari lasciandosi incantare dalle spettacolari esposizioni che floricoltori e vivai mettono in mostra in vista della bella stagione. Ma sappiamo bene che l’entusiasmo che ci spinge ad acquistare questa o quella pianta esige, in seguito, altrettanto trasporto in termini di cure ed attenzioni senza le quali in breve tempo il sogno di un momento si trasforma in una triste realtà di foglie vizze, giallognole, clorotiche e disordinati seccumi. Magari, presi dall’entusiasmo non si è valutata attentamente la posizione giusta (troppo sole o, al contrario, troppo poco), ci si dimentica, col tempo di apportare i giusti nutrienti al terreno (in un vaso di plastica o di terracotta prima o poi le sostanze nutritive si esauriscono), oppure, molto più spesso, non si tiene nella dovuta considerazione il giusto grado di umidità e di apporto idrico finendo per stressare la pianta per eccessiva secchezza o, al contrario, decretandone la fine prematura a causa del marciume. Per gli smemorati delle irrigazioni che tuttavia non vogliono rinunciare alla lussureggiante compagnia di piante ed elementi vegetali nei propri spazi abitativi e di lavoro (anche perché, nei luoghi chiusi i benefici delle piante sono ormai attestati da diversi anni per quanto concerne la purificazione dell’aria dalle sostanze inquinanti così come sul benessere psicofisico in generale e sull’umore), il consiglio è di tentare la strada dell’idrocoltura. Con questa tecnica, soprattutto nei paesi mediterranei dove le elevate temperature estive tendono a seccare rapidamente la poca terra presente nei vasi da interno, si sopperisce al noioso obbligo di

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Potpourri: profumo d’antico per la casa naturale

Un’idea creativa per profumare la nostra casa a partire da elementi vegetali naturali da miscelare insieme in composizioni gradevoli alla vista e all’olfatto di Alberto Piastrellini Un modo ecologico, divertente, creativo e appassionante per regalare alla propria casa un delicato profumo è quello di utilizzare il potpourri. Il potpourri, un tempo elemento irrinunciabile della casa elegante, è una miscela di fiori, parti di fiori, foglie, erbe, spezie, cortecce ed altri elementi vegetali, tutti rigorosamente secchi ed intrisi di olio essenziale che ha il potere di esalare nel tempo il sentore delicato scelto per la composizione. Sempre più, nelle case e nei luoghi di lavoro, c’è bisogno di portare un pizzico di Natura; i benefici psicologici dati dalla presenza di piante ed elementi verdi viventi, ad esempio, sono ampiamente riconosciuti e documentati e anche il senso dell’olfatto beneficia degli stimoli dati da sentori che richiamano direttamente questa o quell’essenza. Non a caso, il mercato presenta una più che ampia gamma di prodotti per la profumazione di ambienti: dalle comode, ma poco naturali, profumazioni spray, ai diffusori in gel e tavolette, sino ai diffusori che utilizzano bastoncini e i più tecnologici vaporizzatori ad ultrasuoni per oli essenziali. A far cadere la scelta verso questo o quel prodotto, oltre alla disponibilità economica, molto spesso è la facilità di utilizzo e la resa immediata, tuttavia, non bisogna dimenticare che l’estrazione degli oli essenziali puri è un procedimento costoso che pesa notevolmente sul prezzo del prodotto finito, senza dimenticare il costo delle materie prima (fiori, resine, erbe e spezie) e la resa stessa della quantità da distillare. Ecco perché nei prodotti a buon mercato spesso si utilizzano aromi di produzione sintetica che profumano, sì, ma non hanno un’origine del tutto naturale. E allora perché non provare a profumare la propria casa con la discreta eleganza

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Vacanze di primavera: qualche consiglio per la linea e per lo spirito

Il gioioso disordine alimentare del tempo di vacanza, se vissuto col giusto spirito, può essere altrettanto appagante. Basta non esagerare tra compulsività e sensi di colpa. di Alberto Piastrellini Mentre Aprile sembra abbandonarci con uno stravagante strascico di inverno, si profila all’orizzonte la temuta prova del costume, un vero e proprio trauma psicologico per molte e anche per molti, normalmente un po’ sovrappeso al finire della brutta stagione. Quest’anno, poi, le buone intenzioni di salvaguardare la propria linea sono messe a dura prova da una congiunzione di festività sacre e profane che, unite a sabati e domeniche, ingenerano quasi una decina di giorni di vacanza. Una pausa insperata dal lavoro, l’entusiasmo per l’improvvisa libertà dagli obblighi quotidiani, la possibilità di godersi del tempo con i propri cari e con gli amici, magari organizzando gite e banchetti fuori casa si traduce normalmente in una frattura delle normali abitudini alimentari e così, aperitivi, ristoranti, pizzerie, picnic, grigliate vanno necessariamente ad accumularsi con le tenzoni enogastronomiche tradizionali dei pranzi in famiglia… Col risultato che se pure lo spirito si ritempra e si divaga – passando per la gola – si finisce per esagerare con il consumo di cibi e bevande ed esaurita l’euforia festaiola ci si ritrova un po’ troppo appesantiti di fronte allo specchio che impietoso restituisce il ritorno di curvette faticosamente appianate. Scattano i sensi di colpa, amplificati da una diffusa narrazione che veicola un’immagine di corpi perennemente giovani e scattanti e così si finisce per intristirsi di fronte a deprimenti porzioni di anonime verdurine lesse consumate come amare medicine da cui dipende la propria sopravvivenza, improbabili diete d’urto-detox-d’emergenza-miracolosamente-sgonfianti associate ad inverosimili maratone di attività fisica sopra le righe (peraltro a rischio coronarie dopo il trionfo di abbacchi, pizze pasqualine, salumi, cioccolato e vini) con l’illusione di espiare in brevissimo tempo

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Giornata Mondiale della Creatività 2019: la fantasia come metodo

Donna di Fiori celebra la creatività nella sua Giornata istituzionale regalando ai Lettori una serie di aforismi e citazioni per scoprire la logica del pensiero creativo di Alberto Piastrellini Forse non tutti lo sanno, ma nel corollario delle Giornate Mondiali istituite dalle Nazioni Unite, il 21 aprile si celebra quella dedicata alla Creatività. In effetti è una celebrazione di fresca istituzione dal momento che la bozza di risoluzione con la quale è stata nominata risale appena al 27 aprile del 2017 (72a Sessione, 79° incontro dell’Assemblea Generale Plenaria) e, per essere precisi, la dicitura corretta recita: “Giornata mondiale della creatività e dell’innovazione”.  “Pochi attributi delle prestazioni umane hanno un impatto altrettanto grande sulla nostra vita e sul nostro mondo, come creatività”, aveva dichiarato allora Inga Rhonda King, rappresentante di Saint Vincente Grenadine, chiedendo l’inserimento della creatività nell’attuazione dell’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile ed esprimendo la solidarietà della propria delegazione con gli oltre 80 altri co-sponsor nel sostenere la designazione del 20 aprile come momento celebrativo mondiale della creatività.  E come non ricordare che, con una certa lungimiranza, l’Europa, già 8 anni prima aveva provveduto a proclamare l’anno 2009 come “Anno Europeo della Creatività e Innovazione” con l’obiettivo di: “accrescere la consapevolezza dell’importanza della creatività e dell’innovazione in quanto competenze chiave per lo sviluppo personale, sociale ed economico”.  Non a caso, una recente ricerca che esplora il ruolo della creatività nella risoluzione di problemi e nell’innovazione, ha evidenziato che tanto i Paesi sviluppati quanto quelli in via di sviluppo stanno abbracciando l’idea che il capitale creativo è il bene più prezioso dell’umanità.  Un bene che si manifesta a più livelli, tanto nelle innovazioni tecnologichee di software, quanto nella ricerca pura, così come nelle tante manifestazioni dell’arte e nelle varie forme di comunicazione; tutte strade che, accanto ai naturali processi evolutivi, concorrono allo sviluppo dell’umanità. Parlando di creatività non si può sottacere che il termine, in

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Stone balancing: l’arte effimera delle pietre in equilibrio

Tra land art e meditazione creativa, una pratica suggestiva che cattura la fantasia e lascia una traccia transitoria di sé. di Alberto Piastrellini Passeggiando su una spiaggia rocciosa e sassosa, sulle rive di un torrente o lungo il sentiero di una montagna, vi sarà capitato di osservare strane “costruzioni” di pietre sovrapposte in equilibrio precario, quasi a sfidare le leggi della fisica. Sono chiaramente opera dell’uomo, ma non hanno l’utilità pratica degli “ometti” di pietra che segnalano una biforcazione del sentiero o la retta via al camminatore, tutt’altro…Quelle precarie sovrapposizioni di pietre sono piccole opere d’arte estemporanee ed effimere di altrettanti ignoti autori affascinanti dalla pratica dello Stone balancing. Già la scelta del materiale ha in sé qualcosa di magico, di arcaico, di ritorno al primitivo.Le pietre, infatti, recano un portato di secoli e accadimenti che ne hanno determinato la forma complessiva, la posizione, il colore, la texture della superficie. Individui particolarmente sensibili traggono particolari sensazioni dal maneggiare questa o quella pietra che “risponde” – a lor detto – emanando “vibrazioni” più o meno positive. Non è questo, certo il luogo adatto a sviluppare un discorso in tal senso, tuttavia è esperienza comune che la particolare forma di una pietra attrae l’attenzione e la curiosità, pertanto, realizzare sculture estemporanee formate dalla sovrapposizione quasi miracolosa di pietre di forme e dimensioni diverse, variamente orientate nello spazio ed in rapporto di equilibrio fra di loro significa regalare al mondo, anche solo per pochi istanti, un qualcosa di magico che accende la fantasia e apre la mente. Non a caso molti appassionati di stone balancig riconoscono a questa pratica a metà fra land art e meditazione creativa un notevole potere di rilassamento interiore fatto di ricerca dell’equilibrio (spirituale prima ancora che fisico), consapevolezza dell’ambiente circostante, immersione quasi totale negli elementi della natura. Diventare

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La tavola di Pasqua, idee e consigli dalle esperte di interior decoration

Creatività, fantasia e preparazione per portare un tocco di stile in più alla tavola delle feste e all’arredo di casa. di Alberto Piastrellini La tavola delle feste, da sempre, è allo stesso tempo croce e delizia della padrona di casa. Se la tovaglia è il biglietto da visita, è l’apparecchiatura che fa la differenza e nella sobrietà od esuberanza della mise en place si misurano cadute e trionfi di stile nella battaglia per l’eleganza ove un pur piccolo passo falso conduce inesorabilmente dallo chic al kitsch. Le complicazioni, poi, si moltiplicano quando si pensa (o non si pensa) organicamente all’apparato decorativo della casa in generale, allorquando la presenza di più temi, magari contrastanti tra loro, o la mancanza di un’idea generale provoca una sovrapposizione di elementi, di per se magari interessanti presi singolarmente, ma caotici e disarmonici nella somma. Per orientare i profani nel mare magnum della decorazione d’interni, giacché lo stile si impara e non è mai troppo tardi, noi di Donna di Fiori siamo andati a consultare due giovani donne, sorelle, che hanno fatto della passione congiunta per l’home decoration una professione che ormai conta più di 25 anni di esperienza. Catia e Maila Cesini ci hanno accolto all’interno del loro negozio Il ya, in Ancona, piacevole scrigno di idee creative per arredare la casa e la persona dove abbiamo potuto carpire qualche segreto di bottega per allestire al meglio la tavola di Pasqua. “Il ya nasce da un’idea di nostro padre – è Catia a rompere il ghiaccio – che aveva già avviata una propria impresa. Io, da geometra tirocinante presso uno studio di architettura specializzato in design di interni mi sono appassionata al decoro e in mia sorella ho trovato la partner ideale”. “Il negozio lo abbiamo aperto nei primi anni ’90 – aggiunge Maila –

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Malattia di Alzheimer: si può prevenire con tè verde e carote

Una sperimentazione effettuata su topolini ha dimostrato che una dieta a base di composti naturali presenti nel tè verde e nelle carote (ma anche in altri ortaggi e nella frutta) inibiscono la formazione delle placche amiloidi, caratteristica principale della malattia di Alzheimer. di Alberto Piastrellini La Malattia di Alzheimer è la forma più comune di demenza senile, caratterizzata da un progressivo declino della memoria e di altre funzioni cognitive, uno stato provocato da un’alterazione delle funzioni cerebrali che implica serie difficoltà per il paziente nel condurre le normali attività quotidiane. Nel mondo l’Alzheimer colpisce circa 40 milioni di persone e solo in Italia vi sono circa un milione di casi, per la maggior parte oltre i 60 anni. Oltre gli 80 anni, ne è affetto un anziano su 4. Questi numeri sono destinati a crescere progressivamente per il progressivo aumento della durata della vita: si stima un raddoppio dei casi ogni 20 anni. Inoltre, sono circa 3 milioni le persone direttamente o indirettamente coinvolte nell’assistenza ai loro cari con demenza. I soli costi annuali diretti per ciascun paziente vengono, in diversi studi europei, stimati in cifre variabili da 9.000 a 16.000 euro a seconda dello stadio della malattia. Questa malattia rappresenta una delle sfide sanitarie più grandi del nostro secolo, tant’è che l’11 dicembre 2013 i leader mondiali del G8, riuniti a Londra nello storico vertice “Dementia”, si sono impegnati a “Identificare entro il 2025 una cura o una terapia che modifichi sostanzialmente il decorso della malattia”. I ricercatori sono fortemente impegnati per trovare soluzioni, ma al momento le sperimentazioni cliniche sono rivolte alla prevenzione della malattia, perché sono disponibili nuove tecniche che permettono di determinare le alterazioni di una proteina ritenuta la prima causa di malattia, prima che questa si manifesti clinicamente. Da vari anni è noto, infatti, che alla base

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