Agnese Mengarelli

Quarzo ialino: il Maestro dei cristalli

Il quarzo ialino, chiamato comunemente anche cristallo di rocca, è una delle più perfette manifestazioni di equilibrio in natura, guida verso la chiarezza ed è sinonimo di purezza e limpidezza. di Agnese Mengarelli Chi si avvicina per la prima volta al mondo della cristalloterapia, viene spesso attirato dall’energia del quarzo ialino, chiamato comunemente anche cristallo di rocca, una varietà di quarzo completamente incolore e trasparente. È una delle più perfette manifestazioni di equilibrio in natura, guida verso la chiarezza interiore e sinonimo di purezza e limpidezza. In cristalloterapia è considerato un Maestro perché è un conduttore di energia dotato di luce propria che illumina chi lo possiede. Già gli antichi Greci credevano che il cristallo di rocca fosse ghiaccio che si era formato a temperatura bassissima. Gli sciamani invece pensavano che venisse dal cielo e lo utilizzavano per entrare in contatto con gli spiriti superiori. I Maya e gli aborigeni australiani lo usavano per potenziare i loro rituali e i propri poteri, mentre nell’Antica Cina era usato per alleviare la sete. Come ogni quarzo usato in elettronica, ha proprietà piezoelettriche e presso tutte le culture è stato sempre considerato un minerale dai poteri magici e terapeutici. Si ricorreva al cristallo di rocca per cacciare via demoni e malattie e per infondere forza ed energia. Inoltre, ha trovato impiego nell’occultismo, grazie alle sue capacità ipnotiche e divinatorie: la famosa sfera di cristallo era usata proprio per predire il futuro. Poiché la luce lo attraversa rimanendo completamente inalterata, il cristallo di rocca permette di vedere le cose così come sono, senza distorcerle o alterarle. Il quarzo ialino, infatti, stimola l’individuo a conoscere sé stesso: facilita l’affioramento dei ricordi inconsci, aiutando a risolvere i problemi nel modo più semplice e a recuperare quelle facoltà che si ritenevano perdute. Rende sinceri ed imparziali rafforzando

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Salvia: miti e leggende

Nel corso dei secoli la salvia è stata apprezzata e considerata un’erba sacra grazie alle sue numerose proprietà curative. Di Agnese Mengarelli La salvia viene utilizzata spesso in cucina per addolcire il sapore forte e robusto di certi carni, mentre in erboristeria è indicata per le sue proprietà antinfiammatorie, antisettiche, antisudorifere, astringenti, cicatrizzanti e digestive. È una delle piante più diffuse e utilizzate, ma in pochi conoscono i miti e le leggende legati a questa erba. È stata considerata un’erba sacra da diversi popoli e deriva il proprio nome dal termine latino salvus, “sano, in salute”, proprio in riferimento alle proprietà curative che in ogni epoca le sono state attribuite. Già i Druidi, convinti che le facoltà divinatorie della salvia aumentasse la loro capacità profetica e rituale, erano soliti aggiungerne alle loro bevande, come l’idromele o la cervogia. Per i Celti la salvia era la panacea di tutti i mali, veniva usata in numerosi disturbi ed erano talmente tante le aspettative per questa pianta da essere considerata utile persino a resuscitare i morti. Nell’Antico Egitto le si attribuivano anche doti afrodisiache e di fecondità, infatti, si racconta che Cleopatra la usasse per sedurre gli amanti ed era la pianta che rendeva le donne più fertili. Nell’immaginario medievale la salvia era considerata una sorta di rimedio universale ed era talmente importante da essere immagine della vita stessa del padrone di casa: se la pianta nell’orto era vigorosa, anche il padrone di casa godeva di buona salute e la famiglia era nella prosperità, ma se la pianta era appassita o secca, il capofamiglia era ammalato o addirittura morto. Associata con zafferano, cannella e aglio, la salvia diventava un potente talismano in grado di proteggere dai malefici e conservare la salute. Nella tradizione cristiana la salvia è legata alle vicende della Sacra Famiglia

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Quarzo rosa: una carezza per il cuore

In cristalloterapia il quarzo rosa è la pietra per eccellenza del quarto chakra perché emana forti vibrazioni positive che aiutano i sentimenti a svilupparsi e a maturare. Di Agnese Mengarelli Il quarzo rosa fa parte della famiglia dei quarzi cristallini, è una delle pietre più diffuse in natura e proviene principalmente da Brasile, Stati Uniti e Madagascar. Il quarzo rosa ha in generale un colore rosa tenue molto delicato e per secoli è stato considerato la pietra della fertilità e della femminilità, ma si era soliti impiegarlo anche per i disturbi cardiaci e per tutto ciò che, anche in senso figurato, è legato al cuore.In cristalloterapia il quarzo rosa è la pietra per eccellenza del quarto chakra perché emana forti vibrazioni positive che aiutano i sentimenti a svilupparsi e a maturare.Dolce e delicata, proprio come il suo colore, è una pietra che nutre il cuore e che ci insegna a capire e a rispettare sia i nostri sentimenti che quelli degli altri.Scioglie le tensioni emotive e, come tutte le altre varietà di quarzo, protegge da tutto ciò che è negativo.È un cristallo meraviglioso che ci apre ai sentimenti più belli: amore, comprensione, accettazione e dolcezza. Ci fortifica se siamo tristi e ci dona tanto coraggio se siamo abbattuti. Apre la mente a prospettive “rosa”, riempiendoci di speranza e fiducia anche quando è il momento presente non è dei migliori.È la pietra che nutre tutte le emozioni che passano per il cuore, perché aiuta a focalizzare la propria attenzione sul bisogno primario di serenità, sonno, rigenerazione, alimentazione sana, protezione e sicurezza. Tutti questi fattori accrescono la vitalità e migliorano il nostro stile di vita, incoraggiandoci ad adottare quasi spontaneamente abitudini benefiche per il nostro cuore.Bisogna indossare il quarzo rosa (come collana o come ciondolo) sempre sul cuore, da sola o abbinandola

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Belladonna: l’erba delle streghe

Grazie alla presenza di allucinogeni, la belladonna era un ingrediente irrinunciabile nella preparazione degli unguenti e nelle pratiche di stregoneria, dando alle streghe la sensazione di volare. Di Agnese Mengarelli La belladonna è una delle piante più utilizzate in farmacologia, ma anche tra le più pericolose nella storia della medicina. In Italia cresce fra cespugli e nelle radure dei boschi di latifoglie nelle zone montane delle Alpi e degli Appennini ed emana un odore acre e nauseabondo. Presenta dei bei fiori rossi e le sue bacche sono ricche di alcaloidi come la scopolamina e l’atropina.Queste due sostanze sul piano fisico produce una serie di alterazioni tra cui tachicardia e disturbi dell’equilibrio; mentre sul piano psichico provoca eccitazione, confusione, allucinazioni e l’impressione di avere la pelle ricoperta di squame, peli o piume con la conseguenza di far credere in trasformazioni bestiali. Proprio per queste proprietà nel Medioevo la belladonna era chiamata l’”erba delle streghe” perché era un ingrediente irrinunciabile per preparare quegli unguenti che, una volta spalmati sul corpo delle streghe, davano la sensazione di volare. Come per tutte le erbe tossiche, anche la belladonna era usata per la sua capacità di cacciare gli spiriti maligni: infatti, in tempi passati all’inizio dei viali si piantavano cespugli di belladonna per proteggere la casa dalle energie negative. La belladonna era usata anche in cosmetica fino al 1800, per rendere lo sguardo più seducente: le gocce di belladonna in acqua distillata producevano una sorta di collirio in grado di dilatare le pupille che, secondo certi canoni di bellezza ormai superati, rendevano le ragazze più attraenti. Il nome belladonna però non deve trarre in inganno, in quanto questa pianta è un veleno molto potente in grado di uccidere una persona. Gli antichi la usavano, infatti, per avvelenare gli avversari e i nemici in battaglia. Sembra

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Ametista, il cristallo che libera la mente

Conosciuta fin dai tempi più remoti, l’ametista è uno dei cristalli più utilizzati in cristalloterapia per alleviare i mal di testa e le tensioni psicologiche, favorendo il recupero della pace interiore. Di Agnese Mengarelli La cristalloterapia ha una storia millenaria e anche oggi viene praticata come metodo di cura naturale per alleviare i disturbi più comuni. Tra le pietre più utilizzate troviamo l’ametista, dal colore viola rassicurante e in contatto con le alte energie dell’Universo. Il nome ametista deriva dal greco e significa “colui che non si ubriaca”, infatti nella Grecia antica questo minerale era noto e apprezzato per la sua capacità di favorire la lucidità mentale. Già nel Neolitico in Europa si possono rintracciare delle ametiste usate sia come amuleti sia come simbolo di regalità, mentre nell’Antico Egitto l’ametista era indossata come un amuleto di protezione durante i lunghi viaggi fuori città, contro le imboscate e il tradimento. Nel Medioevo lo studioso Konrad von Megenberg affermava che l’ametista “è un minerale in grado di rendere desto e vigile l’uomo, scacciando i pensieri negativi ed astrusi e conferendo equilibrio e buon senso”. L’ametista appartiene alla famiglia dei quarzi cristallini e deve il suo splendido colore viola alla presenza di tracce di ferro. È molto diffusa e poco costosa e può essere  indossata come ciondolo, anello, bracciale o orecchini. Come tutti i cristalli, la cosa importante è che stia a contatto con il corpo. Benefici dell’ametista per il fisico È utile per alleviare i mal di testa causati da tensione e fatica, da affaticamento dagli occhi (lettura con illuminazione insufficiente, lavoro al computer), le tensioni alla schiena e alle spalle (postura scorretta) e le patologie delle vertebre cervicali. Benefici dell’ametista per la mente Promuove la consapevolezza e la sobrietà e favorisce la concentrazione e l’efficienza dei processi di pensiero, contribuendo al

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La Cordata: le donne di Gurdjieff

All’inizio degli anni trenta Georges Ivanovitch Gurdjieff creò a Parigi un gruppo speciale di cercatori spirituali: solo donne e quasi tutte lesbiche. Di Agnese Mengarelli Georges Ivanovitch Gurdjieff è stato un maestro spirituale che con i suoi insegnamenti ha fortemente influenzato il XX e il XXI secolo. Era un uomo che non passava inosservato, magnetico, controverso e a volte contraddittorio. Credeva che il mondo si sarebbe auto distrutto, a meno che la “saggezza” dell’Oriente e l’“energia” dell’Occidente non fossero state imbrigliate e usate in modo armonico. Fortemente influenzato dal cristianesimo esoterico, dal sufismo, dal buddismo e dall’induismo, Gurdjieff insegnava oralmente ai suoi allievi la Quarta Via, un modo per creare la propria anima attraverso lo strumento dell’attenzione, il ricordo di sé, la trasformazione della sofferenza e la non-identificazione. Dopo un terribile incidente automobilistico, si dedicò completamente alla scrittura abbandonando l’insegnamento diretto. Tuttavia, all’inizio degli anni trenta Gurdjieff decise di creare un nuovo gruppo speciale di cercatori spirituali: solo donne e tutte lesbiche tranne una. Nacque la “Cordata”, perché tutte dovevano aiutarsi come gli scalatori in montagna. Il gruppo era formato da giovani artiste e intellettuali, donne sensibili, creative, di grande talento e dall’intelligenza fuori dal comune. Tra loro, c’erano Jane Heap e la sua ex fidanzata Margaret Anderson, fondatrici della rivista Little Review, famosa per aver pubblicato l’Ulisse di Joyce e le opere di Ezra Pound, Eliot e Hemingway. Georgette Leblanc invece era una diva famosa, un’attrice che era stata amante e ispiratrice del drammaturgo Maeterlinck, nonché intima amica di Jean Cocteau. Poi c’erano Solita Solano, scrittrice ed editrice con la sua compagna Janet Flanner, corrispondente da Parigi per il New Yorker; Kathryn Hulme, autrice del libro Storia di una monaca e Dorothy Benjamin, vedova di Enrico Caruso. “Sapevamo fin dal dal primo giorno, credo, cosa lasciava presagire quel legame

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Segnature: la medicina popolare delle donne

Le guaritrici di campagna con le loro formule e gesti sacri hanno attraversato i secoli, ma sono ancora vive e operanti nella società di oggi. Le segnature erano un antico rito di cura praticato nelle campagne di tutta Italia che, pur nascendo nel contesto di una civiltà contadina ormai tramontata definitivamente, ancora oggi vede molte donne attive in questa antica arte. In passato ci si affidava a queste guaritrici di campagna per essere curati in seguito a cadute, Herpes zoster, bruciature o storte. Non solo, le segnature erano usate anche per ritrovare le cose perdute, calmare le tempeste o gli incendi, per eliminare la paura e soprattutto per scacciare il malocchio. Fino agli anni Cinquanta, in quasi tutte le famiglie contadine almeno una donna conosceva uno dei tanti rituali per togliere il malocchio, rimedio utilizzato per curare diversi disturbi, fra cui mal di testa, capogiri, difficoltà a dormire, nervosismo, esaurimento fisico e psicologico oppure malesseri di origine non ben precisata. Le segnature erano un’arte di guarigione affidata prevalentemente alla donna per la sua vicinanza ai segreti del corpo, proprio e altrui, che consente un punto di accesso privilegiato ai misteri del divino. L’atto della segnatura prevede la recitazione spesso in dialetto di alcune formule e preghiere specifiche (tenute gelosamente segrete) accompagnate da una gestualità simbolica che di solito prevede la ripetizione del segno della croce (da qui il nome di segnature), pur con importanti correlazioni con un passato di matrice pagana. All’interno della comunità contadina questo sapere veniva tramandato fra consanguinei, per esempio da nonna a nipote, madre e figlia, o da suocera a nuora. Le formule non si possono tramandare a chiunque perché il segnatore perderebbe i propri poteri per un anno, insieme a chi gliele ha insegnate e a chi le ha apprese da lui. Il “passaggio di

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Rennes le Chateau: il paese più misterioso d’Europa

  Siamo nella campagna dell’Aude, nel sud ovest della Francia, e dopo qualche chilometro di curve in salita, all’entrata del paese più misterioso di Europa ci accoglie uno strano cartello: Le buche sono vietate sul territorio comunale di Rennes le Chateau. Di Agnese Mengarelli   Neanche troppo insolito se pensiamo che da quasi un secolo in tanti vengono a scavare buche in questo piccolo villaggio di 80 anime; tutti alla ricerca del presunto tesoro ritrovato dal famoso parroco vissuto qui alla fine del 19° secolo.   È il 1885 e il giovane François Bérenger Saunière diventa curato della piccola e cadente parrocchia di Maria Maddalena di Rennes le Chateau. Dopo qualche anno cominciò il restauro della chiesa e la sua vita, povera ma dignitosa, cambiò radicalmente. Secondo le varie tesi Saunière, durante i restauri della Chiesa, avrebbe trovato il tesoro dei Templari. C’è, perfino, chi sostiene che avesse trovato il Sacro Graal o l’Arca dell’Alleanza o il tesoro del Tempio di Salomone. Altri sostengono che avesse trovato un luogo di culto segreto, considerato che vi sono molti simboli rosacruciani nelle decorazioni della chiesa. Si è detto pure che Saunière avrebbe scoperto un segreto così grave da far tremare le fondamenta del mondo cristiano e che avrebbe ricattato Roma.   In ogni caso, da anonimo e povero prete di campagna, Saunière divenne un uomo ricco e importante. Alcuni hanno calcolato che nel giro di pochi anni abbia speso 15 milioni di euro attuali. Fece costruire Villa Betania (la sua nuova dimora in stile rinascimentale ampia e lussuosa), il giardino, il Belvedere e la Torre Magdala per la biblioteca (un edificio solido merlato in stile neogotico dove Saunière custodiva i suoi libri). Ma il vero tesoro di Rennes le Chateau è la chiesa dedicata a Maria Maddalena, ricca di simboli e richiami

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Giardino Majorelle: il paradiso di Yves Saint Laurent

Siamo a Marrakech, la più importante delle città imperiali marocchine, dove per secoli si sono mescolati arabi, berberi, andalusi, ebrei, sahariani e africani e la cui piazza era il capolinea di carovane nomadi. Di Agnese Mengarelli Oggi in questa città si respira la stessa atmosfera di allora, fatta di caldo e sudore, profumo di spezie e souk chiassosi, cantastorie e incantatori di serpenti, motorini che sfrecciano e bambini che corrono. Il caos incredibile è la bellezza irresistibile di Marrakech e per godersi la città bisogna solo lasciarsi andare, abbandonare le resistenze tipicamente occidentali e seguire il flusso.   Fuori dalla Medina nel cuore della città nuova, invece, si trova un’oasi di pace dove si può riprendere fiato, coccolati dall’arte e cullati dalla natura: il Giardino Majorelle.   Jacques Majorelle era un pittore francese che amava viaggiare ed era affascinato dalla cultura islamica. Esperto di botanica, nel 1923 l’artista decide di acquistare un terreno a Marrakech e comincia a coltivarci la sua collezione personale di piante provenienti da ogni continente. Nel 1937 l’artista creò il blu Majorelle, un blu oltremare/cobalto, intenso e chiaro al tempo stesso, con cui dipinse le pareti della sua villa. Mantenere il suo giardino, però, era diventato costoso, così nel 1947 Majorelle decise di aprire i cancelli al pubblico e far pagare un biglietto di ingresso. Purtroppo, negli anni 50 una serie di disgrazie lo costrinsero a vendere parte della sua proprietà e a tornare in Francia.   Il giardino fu abbandonato, ma dopo qualche anno un altro grande artista rimase affascinato dalla sua bellezza: Yves Saint Laurent. È il 1966, il famoso stilista francese e il suo compagno Pierre Bergé visitano per la prima volta Marrakech, scoprono il giardino e ne rimangono incantati, tanto da definirlo “un’oasi in cui i colori di Matisse si mescolano a

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